di Domenico Scarpa
«Mi racconta un professore di Oxford, Berghin, di aver veduto nel 1947 Anna Achmatova a Leningrado, e di averla messa a conoscenza per la prima volta che quel Modigliani, che ella in gioventù aveva conosciuto a Parigi, era morto, ed era stato un pittore celebre. L'Achmatova ignorava tutto questo».
Se Anna Achmatova, isolata da un quarto di secolo dal mondo occidentale, ignorava la sorte del pittore italiano che le aveva dipinto il ritratto appeso in casa sua, al 44 di Fontannij Dom, noi ignoriamo quando, dove e come sia avvenuto l'incontro che Corrado Alvaro riferisce in un foglio di diario apparso dopo la sua morte (1956); sappiamo soltanto che un suo errore di ortografia ha reso invisibile per mezzo secolo il nome – straordinario quanto inaspettato – del suo interlocutore. Berghin, infatti, non era altri che il grande filosofo Isaiah Berlin (1909- 1997), Fellow di All Souls College, dov'era docente di «Social and Political Theory».
Ma Alvaro incorreva in un secondo errore, perché gli incontri di Berlin con gli scrittori russi (vide anche Pasternak, a Mosca) risalivano al 1945. Si trattava per lui di un ritorno alla sua prima patria: era nato infatti a Riga, capitale della Lituania, e a Pietroburgo aveva trascorso l'infanzia; la sua famiglia, di origine ebraica, abbandonava la Russia nel 1920 per sfuggire al dominio bolscevico. Ora, cessata la guerra, Berlin tornava in quella Pietroburgo che era ormai Leningrado. Già da alcuni anni il governo britannico gli affidava incarichi di intelligence. Atterrando a Mosca l'8 settembre 1945, Berlin entrava dunque in uno stato totalitario che s'era annessa la sua regione natale. Laggiù lo aspettavano i due incontri con Pasternak e con la Achmatova destinati a segnarlo per sempre. Ne avrebbe scritto, a caldo, solo nei rapporti per il Foreign Office; a parlarne in pubblico si sarebbe deciso nel 1980: Meetings with Russian Writers in 1945 and 1956 è fra i testi di memoria più celebri del Novecento.
Berlin mantenne il riserbo sulle sue frequentazioni di allora; sapeva che un'indiscrezione avrebbe compromesso i suoi nuovi amici, se fossero trapelati i loro contatti con l'«agente nemico». Nel 1955 – la lettera, inedita in Italia, è spedita da All Souls il 12 gennaio 1955 – si confidò con John Lehmann, fondatore e direttore del «London Magazine» nonché fratello della scrittrice Rosamond Lehmann.
«Caro John, mi piacerebbe pubblicare sulla tua rivista, se all'epoca saremo entrambi in vita, il resoconto di una visita che feci nel 1945 a Leningrado a un'importante poetessa, in una situazione stupendamente romantica: i suoi colloqui con me e il relativo contorno, un'esperienza certamente unica, ben viva nella mia memoria. Ne dovrò scrivere in ogni caso, ma vorrei non farlo finché lei sarà viva. Aveva 61 anni e problemi cardiaci quando la incontrai nel 1945, e purtroppo non reggerà a lungo. Si chiama Achmatova, e quando lei morrà la notizia farà il giro del mondo. Se terrai fede a questa promessa, io ti prometto che terrò in serbo questa storia solo per te, e non ci sarà diavolo di Bbc che me la potrà estorcere. È una storia che varrà la pena accaparrarsi, non certo per causa mia ma per le circostanze straordinarie che ruotarono intorno alla mia visita, per il fatto che si tratta di una poetessa dotata di una certa genialità, che non aveva incontrato nessun occidentale dopo il 1917, e poi per le sue opinioni letterarie e personali. Avevo pensato di stamparla sul "New Yorker", che l'avrebbe accettata di certo. Ma se vuoi che te la faccia per il "London Magazine" te la farò».
Tanta giustificata cautela accresce il valore della confidenza raccolta da Alvaro. Ma quel valore diventa inestimabile quando troviamo, nel suo foglio di taccuino, una riflessione che Berlin ometterà nelle sue memorie: «Raccontava della nessuna professione politica, e neppure interesse, degli scrittori russi. Essi sono soltanto preoccupati di essere in disgrazia se non ricevono la circolare con cui sono invitati a sottoscrivere una petizione qualunque del giorno, per questo o contro quello. Stalin, egli dice, aveva la solita voluttà dei tiranni: far sentire la sua potenza, abbassare o innalzare qualcuno all'improvviso, essere sempre presente nella mente di ognuno».
È di questa voluttà del tiranno che Berlin non riparla altrove, e che viceversa Alvaro registra con prontezza perché lo tocca in un punto sensibile. Aveva visitato anche lui la Russia sovietica, nel 1934, ricavandone il reportage I maestri del diluvio; nel 1938 pubblicava da Bompiani L'uomo è forte, romanzo ambientato in un paese nel quale era ovvio riconoscere l'Urss; eppure, tra le righe, si intravedevano le tracce di un altro regime totalitario, prossimo e casereccio.
Quando Isaiah Berlin arrivò a Leningrado, a metà del novembre 1945, di Anna Achmatova sapeva poco. Fu lo storico Vladimir Orlov a offrirgli l'occasione di vederla, e – commenta Berlin – «fu come se improvvisamente mi avessero invitato a fare la conoscenza di miss Christina Rossetti». L'incontro avvenne in casa di lei il 14 novembre, si protrasse fino all'alba successiva e si ripeté la notte dell'Epifania 1946. La Achmatova, che stava scrivendo Poema senza eroe, ne lesse dei brani a Berlin. Ma da quella prima notte nacque anche una poesia dedicata personalmente a lui; fa parte di un ciclo che reca un titolo in italiano, Cinque: «In un mondo reso muto per sempre / Ci sono soltanto due voci: la tua e la mia».
Berlin annota che durante quei loro incontri Anna Achmatova non pronunciò una parola contro il regime sovietico. Eppure suo marito Nikolaj Gumilëv era stato fucilato nel 1920 come cospiratore filomonarchico, mentre suo figlio Lev avrebbe trascorso molti anni nei Gulag; lei stessa, infine, avrebbe subìto quindici anni di morte civile, con un divieto di pubblicare che durò dal 1925 al 1940. I suoi versi sopravvivevano ugualmente, passati di bocca in bocca tra persone fidate. Quando scoppiò la guerra, i soldati al fronte mostrarono di preferire la lirica pura alla poesia di propaganda. Pasternak e la Achmatova ricevevano fiumi di lettere dalle zone di guerra, e a un certo punto il governo si dovette accorgere che di quei poeti c'era da andare fieri, in un momento in cui i nazisti, rinnegato il patto Molotov-Ribbentrop, andavano dilagando in terra russa.
Nel settembre 1941 la Achmatova tenne alla radio alcune conversazioni nelle quali incitava le donne a resistere contro il nemico. Il 28 settembre, per ordine di Stalin, fu evacuata da una Leningrado già sotto assedio e portata a Mosca in aereo; venne poi alloggiata a Taškent, nell'Uzbekistan, e fece ritorno nella sua città solo nel giugno 1944.
Nel 1946 le edizioni Pravda pubblicavano una scelta, ampia ma censurata, di poesie della Achmatova, che in aprile tenne a Mosca due pubbliche letture, nel Museo Politecnico e presso la Casa del Sindacato. Fu in entrambi i casi un trionfo con tanto di standing ovation, trionfo che si ripeté al teatro Bolšoj di Leningrado. Conoscendo l'animo di chi governava il suo paese, la Achmatova temette il peggio: aveva visto bene, se è vero che, quando Andrej Ždanov gli riferì delle serate di Mosca, pare che Stalin reagisse con una sola domanda: «Chi è stato a organizzare tutto questo?». La devozione verso i poeti è anche la loro condanna agli occhi di un potere incolto, suscettibile e geloso. Fu Ždanov a incaricarsi di elaborare un pubblico discorso, pronunciato giusto a Leningrado, che demoliva la Achmatova dal punto di vista politico e letterario arrivando a definirla «mezza monaca e mezza prostituta».
Era il 16 agosto; il 4 settembre 1946 l'Unione degli Scrittori decretava la sua espulsione; erano passati pochi mesi dagli incontri con Berlin.
Dagli archivi del Kgb è emerso il rapporto di un informatore polacco; riferisce che la Achmatova andava fiera dell'interesse che Stalin le manifestava, sia pure in questi modi vessatori: era il segno che il tiranno la teneva nei suoi pensieri. Alvaro, l'interlocutore del "suo" Berlin, conosceva bene questa situazione: e infatti nelle righe conclusive del suo foglio di diario si delinea, come già in L'uomo è forte, una figura di Big Brother tutta interiorizzata: un occhio onniveggente in perenne attività, che agisce non dall'esterno bensì nell'intimo degli individui, un pensiero ossessivo che non dà tregua (1984 di Orwell uscirà nel 1949). Anche nel suo Quasi una vita. Giornale di uno scrittore (1950) Alvaro ritorna su questa sproporzione: essere costretto a pensare sempre a Benito Mussolini e alla sua onnipotenza mentre a Mussolini non capiterà mai di pensare a lui; e, qualora dovesse accadere, il duce avrebbe facoltà di agire sulla sua vita, onnipotente nel bene come nel male. Come Stalin e come ogni tiranno, anche il duce è un pensiero pensato da tutti, l'occhio interno di ogni suddito del regime fascista. Più che un uomo in carne e ossa, Benito Mussolini è un'entità onnipresente in Quasi una vita.
«Basta con questo gelido terrore, / Meglio invocare una Ciaccona di Bach, / E dietro a lei entrerà un uomo / Che non sarà il mio amato maritino / Ma ciò che io e lui portiamo a compimento / Disturberà il Secolo Ventesimo». I versi provengono dal Poema senza eroe di Anna Achmatova e alludono direttamente agli incontri del 1945-46. La poesia è datata 5 gennaio 1956 e tra parentesi troviamo aggiunto, in francese, Le jour des rois: i Re Magi, l'Epifania: quella notte ricorreva infatti il decimo anniversario del secondo e ultimo incontro con Berlin, che avrebbe lasciato Leningrado la mattina successiva. Si rividero a Oxford solo nel 1965, un anno prima della scomparsa di lei; Berlin era riuscito a farle conferire una laurea ad honorem. Solo allora la Achmatova gli poté raccontare che cosa le fosse accaduto diciannove anni prima, illuminandogli il senso di quei versi. Sul finire del '45 il giovane diplomatico-filosofo era stato per lei L'ospite dal futuro; subito dopo la sua partenza, i servizi segreti avevano collocato vistosissimi microfoni nell'appartamento di Fontannij Dom: per spaventarla più che per spiarla.
La Achmatova era convinta che, a causa della paranoia di Stalin, fosse stata proprio la sua amicizia con Berlin a scatenare la guerra fredda. Lo credeva, anzi, fermamente: quell'incontro aveva mutato i destini del secolo Ventesimo.
«C'è qualcuno che ascolta»: così suonava, nel 1938, lo slogan pubblicitario dell'Uomo è forte di Corrado Alvaro: era una sintesi e forse, chissà, anche una profezia.
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Le carteIl testo di Alvaro (Alla giornata – Fogli di taccuino) si legge in «Nuova Antologia», fasc. 1.874, febbraio 1957, e non è ripreso nel postumo Ultimo diario (Bompiani, 1959). La lettera di Berlin a Lehmann è tradotta dal volume Enlightening. Letters 1946-1960, a cura di Henry Hardy e Jennifer Holmes (Chatto & Windus, London 2009), la cui versione italiana apparirà presso Adelphi, che ringraziamo per aver autorizzato l'anticipazione del brano; sempre da Adelphi è apparso, nel 1989, Impressioni personali, che contiene Incontri con scrittori russi nel 1945 e nel 1956.


I protagonisti- Anna Achmatova (1889-1966) è stata una delle più grandi poetesse russe del Novecento. Fortemente osteggiata dal regime sovietico (che fucilò il marito nel 1920 e mandò in un gulag il figlio) subì 20 anni di censura tra il 1920 e il 1940, non potendo pubblicare. Fu espulsa dal gruppo degli scrittori per «disimpegno», ma le sue opere circolarono oralmente. Oggi è considerata una voce tra le più alte della letteratura.
- Isaiah Berlin (1909-1997), di origini russe, è stato un filosofo, politologo e diplomatico britannico. È stato uno dei maggiori pensatori liberali del XX secolo.
- Corrado Alvaro (1895-1956), scrittore e giornalista. Il suo libro più noto è Gente in Aspromonte (1930).

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